Marco Bagnoli
"Il mistero della cosa inaugura l'evento ineffabile"
Flash Art, Milan, n° 169, été 1992
MARCO BAGNOLI
IL MISTERO DELLA COSA INAUGURA L'EVENTO INEFFABILE
Ma v'è dell'ineffabile
Esso mostra sé, é il Mistico.
Ludwig Wittgenstein
A volte la natura di certe cose delle quali facciamo esperienza sta altrove
rispetto alle consuetudini culturali che decidono la realtà delle stesse
solo in virtù del loro grado di evidenza e dicibilità, che è
poi quello che si fonda su di una logica del mondo positiva o su di un consenso
dell'esperienza per lo più pragmatico.
Eppure c'è dell'ineffabile ed esso mostra sé. In questa
ventura l'arte si afferma come natura diversa e come esperienza autonoma.
Per esempio: se solo pensiamo potenzialmente possibile liberarsi dalla dicotomia
degli opposti, essere/non-essere, infinito-finito, tenebra-luce, accidentale-ideale,
passato-futuro etc., con l'arte, cio, pur restando ineffabile, si mostra frontalmente,
è un atto.
Voglio dire che l'arte, che ci libera dalla pura negazione metafisica della
Verità come dalla semplice affermazione positiva e pragmatica del Vero,
ponendosi come immanenza dell'ineffabile, cioè rischiando l' apparire
rappresentativo, lascia trasparire cio che è per sua determinazione ontologica
ineffabile.
L'opera dunque che si espone e si erige frontalmente come "lucidum intervallum",
come atto e istante dell'essere, manca l'esperienza della visione come esperienza
del visibile nella dimensione spazio-tempo quale deriva dalle due direzioni
opposte della cultura occidentale che sopra indicavamo. Ne penetra la densità,
ne attraversa gli strati e le stratificazioni svelando (trasparenza) e velando
(opacità) la verità della dimensione che le appartiene e la compone,
quella dell'essere, dell'esserci. Fa (nel senso greco del poiein) di una possibile
ulteriore dimensione un atto icastico, una presenza in sé, un'icona come
irradiazione e soglia (Luce delle Luci), che, per sottile che sia, si distingue
dall'opera come emanazione simbolica o rappresentazione allegorica, pur trattandosi
sempre di rappresentazione, di immagine.
A parer mio solo ponendosi in un' "ottica" come questa è possibile
realmente "vedere" le opere di Bagnoli: esponendosi al Ioro mondo,
Mundus Imaginalis di Forme e Immagini "sospese", di "corpi sottili",
che si attraversano come luoghi epifanici, "mazahir", che si manifestano,
come immagine "sospesa" in uno specchio (Cfr. Corbin).
Dal '75 ad oggi, Marco Bagnoli, attraversa la piazza senza spostarsi, nello
spirito di quella "solitudine di una meditazione interiore" che Fulvio
Salvadori ha affermato essere un carattere distintivo dell'arte, o aschesis,
l'esercizio ripetuto che i greci ritenevano necessario all' acquisizione di
una tekné, e in particolare quella del guerriero che, divenuto
in seguito il mistico del deserto, con esso rafforzava l'animo per affrontare
la schiera delle accidentalità e degli idoli.
In questa posizione eccentrica, rispetto all'andamento prospettico-evolutivo
della storicizzazione dell'arte e della conoscenza epistemologica, e quindi
in posizione a-topica rispetto alla contemporaneità ed oltre questa,
le "cose" di Bagnoli "al di là del pittorico" e "al
di qua del plastico" creano un'ottica dell'Ineffabile mostrandolo frontalmente
come apparenza apofantica del suo misterioso mostrarsi. Qualcosa di indefinibile
che qualifica appunto in maniera apofatica, o negativa, l'atto dinamico della
creazione e la " cosa" creata come desiderio di unione che non è
mai nostalgico di un possesso e in cui si rispecchia la qualità pura
della relazione ontologica tra creatore e creatura, simile a quella tra amante
e amata.
L'esercizio ha una sua tecnica, delle regole, ma tutto ciè resta segreto.
Ad ogni esposizione è dimenticato e non dichiarato dalle opere o lungo
il percorso che le opere segnano, perché all'atto della sua apparizione
la bellezza, per sua natura luminosa, oscura fino alla cecità la regola
e nell'istante che si manifesta, informando di sé la superficie, colma
d'ineffabile il corpo sottile della forma o dell'immagine che a quella sola
somigliante adesso appare.
Questo "sapere" - perché come tale Bagnoli rivendica la creazione
artistica - mostra la sua legge come frutto non di calcolata logica o relativa
scienza ma come atto epifanico di un evento magico ed ineffabile.
La parabola, specchio concavo, lente e pupilla onnivora che implode tutto lo
spazio, e assorbe ogni sguardo, sta mostrando il suo punto cieco, annullando
già lo spettatore in quanto lo sostituisce e lo ingloba nell'atto stesso
della sua apparizione. Sguardo impassibile e onniveggente, con la sua presenza
stabilisce il campo dell'esposizione e lo fa suo. A Kassel appariva in due luoghi
diversi: là nei Nuovi Padiglioni rifletteva la Banda rossa,
poco lontano, nella Neue Gallerie, era incastrato nella Parola.
Dunque seguendo Bagnoli, dalla prima mostra, Spazio x Tempo, a Milano
nel 1975, ad oggi, cioè alla sua recente personale al Castello di Rivoli
e all'esposizione di due opere a Documenta IX, si puo dire che, se
l'artista è intellettuale spirituale, all'arte "conviene un'ulteriore
verità che domanda quanto sia ancora legittimo chiedere all'orizzonte
del suo apparire un'apparenza che lo chieda" (Bruno Corà).
La biografia dell'artista, la sua provenienza scientifica, poco ci interessa.
Dalle opere stesse e dal suo lavoro sorge infatti la necessità di distanziare
l'artefice dall'opera. L'opera che nel suo mostrarsi, con il suo sapere, allude
al campo dell'arte come ad un "altrove" in cui l'intelletto si libera
dalla faticosa odissea a cui lo costringe la conoscenza epistemologica, la perturbazione
influente dei sensi o la proiezione psicologica del soggetto nel lavoro".
Liberare l'intelletto, dunque, perché lo sguardo possa fissare la sua
retina sull'icona e come Odisseo che non si lascio irretire per un attimo dalla
magia delle immagini e dai suoni provocati dalle sirene, ma seppe bene evadervi,
colui che riconosce la bellezza, ne ascolti il ritmo senza arrestare il suo
posarsi altrove.
La Banda Rossa, "il segno del mantenimento" (Spazio x
Tempo, 1 Giugno 1989), è l'altro polo rispetto alla Parabola, per
cui uno spazio espositivo si forma. E a cinque quadrati, segno dell'armonia,
sezione aurea. Se nelbo specchio avviene la cattura degli sguardi, perché
lo spazio è attraversato in tangenza ma gli sguardi non si arrestano.
Non possedendo la globalità e la fissità della ciotola riflettente,
la Banda Rossa al contrario è la visione trattenuta in sé
nell'assoluta perfezione della geometria e del colore, indifferente e intangibile.
La Banda Rossa si ritrae dal luogo espositivo. Riflessa nella Parabola
si vedeva a Kassel dalla scalinata e da fuori nella notte. La trasparenza delI'alabastro
aumentava il suo distacco: la trasparenza dell'uno alla luce, controluce il
colore dell'altra.
La bellezza della cosa albora inaugura l'evento ineffabile, il mistero stesso
dell'icona e la sua antinomicità, il fatto realissimo che l'icona rischi
la rappresentazione, il positivo rapporto con l'Inesprimibile.
L'opera appare in tutto il suo mistero come positivo affronto frontale dell'Ineffabile
perché non si tratta di contrarre o astrarre la visione. Non si tratta
di interdire ereticamente l'epifania dell'Inesprimibile, ma di arrischiare la
rappresentazione perché il simbolico dell'icona è, come scrive
Cacciari, "finestra che si apre senza residui al mistero fontale, ove il
mistero non si disvela, non si spiega, mai cessa d'essere tale, e si da a vedere".
La Parola è una costruzione cubica, su tre pareti ha delle fessure,
una parete è cieca. All'interno essa contiene un labirinto impenetrabile.
Il labirinto visto dall'alto forma una parola che non è possibile vedere
data l'altezza stessa della Parola. Essa definisce l'impenetrabilità,
il mistero della creazione. Come la Banda Rossa. Se in questa il mistero
è racchiuso nel colore, quindi nell'esercizio (ascesi) dell'artista per
raggiungerbo, nella Parola è il mistero stesso della Parola
di Creazione (Logos) che si mostra nella sua impenetrabilità.
"Inesprimibile, (Colui che sta, o fisionomia di un abtrove), è
che si possa vedere, che l'Ineffabile-Impenetrabile si mostri", che attraverso
l'opera si crei la possibilità in atto di vedere la "Fonte Luminosa".
Qui epifania e dimensione apofatica non tendono più ad annullarsi reciprocamente
ma formano un solo visibile mistero.
Scandalo?
Solo per le diatribe dei filosofi del linguaggio o le certezze dei tecnocrati.
Magari sarà solo lo splendore dei colori che fenomenizza l'Inesprimibile,
ma sarà colorazione diamantinea e luminosa che come oro alimenta la trasparenza
e irraggia la visibilità. La porta sarà la chiaye, la soglia sarà
interna e esterna. Perché l'icona che sta sia superficie e corpo che
rispiende ma molto al di sopra dei colon dell'atmosfera (Upanishad).
Sergio Risaliti è critico d'arte, vive e lavora a Prato.