Matt Mullican
"Matt Mullican"
Juliet, Italie, December 90 - January 1991, p. 38
MATT MULLICAN
«To rule the world», riorganizzare e sisternare il mondo intero
secondo i propri principi e bisogni, è naturalmente il sogno di ogni
artista. Matt
Mullican ha fatto di questo sogno la realtà di un'opera d'arte. Ogni
lavoro è in fondo parte di uno svolgimento del suo pensiero e del suo
fare artistico che non procede in linea retta evolvendosi nel cambiamento o
nell'affinamento, ma, partendo da un nucleo in fondo assai semplice di desiderio
da esprimere, ingloba via via nuove aree di scoperta e nuove necessità
di espressione, fino a diventare sistema artistico articolato e compesso comprendente
i più vari risultati: sculture in cemento, frottages come duemila
anni fa, architetture di gesso, produzioni video, immagini prodotte al computer,
e altro ancora. In tutto questo si ripetono i colori elementari, e vi sono contenuti
oggetti svariati e i suoi famosi simboli. Bando ai pudori. Mullican dichiara
forte il sogno dell'artista: creare una cosmologia, che sia la propria. Una
cosmologia soggettiva che comprenda ogni strato del reale, dalla fisicità
più bruta della materia all'arte, al linguaggio, per arrivare finalmente
al proprio io, all'emozione apparentemente incomunicabile. Un mistico, dunque,
una mente malata di medioevo che passa in rassegna ogni oggetto per semplificarlo
in un segno riconoscibile a tutti? No, perché la sua cosmologia non è
fenomeno sociale, non descrive alcuna situazione tangibile. Sono descrizioni,
ma ciô che è descritto non esiste. Non ha costruito una cosmologia,
ma il modello per una cosmologia, la sua rappresentazione.
Il progetto presentato al Massachusets Institute of Technology (MIT) nel maggio
1990 e riportato a settembre in Euopa, nell'ambito della sua vasta personale
al Magasin, il Centre d'Art Contemporain di Grenoble, racchiude la descrizione
di ogni livello della realtà. Il tracciato è la pianta di una
città, descrivibile e inesistente, una città che è astrazione
di città, che esiste come immagine e non come realta sociale. Per descriverla
l'artista si è servito dell'architettura, una struttura di gesso, le
pareti tagliate basse per vedere tutto ciô che sta all'interno. Una cornice
prima che una struttura architettonica, il segno di parete più che una
parete vera e propria. Le varie zone sono chiaramente contraddistinte da colori
differenti. La prima è un'area verde, l'area dei materiali. Contiene
ossa umane e di animali, fossili, cristalli: il principio, dunque, l'inanimato.
E area chiusa, non possiede entrata, è rappresentazione della materia
senza significato indipendente da esso, ancor priva di ogni valenza simbolica.
Ancora fisica è la zona blu, colore dell'inconscio: esso rappresenta
il mondo e i suoi motori, la trasformazione di energia, l'evoluzione della specie,
l'informazione. Vi è posta una struttura in vetro che stilizza un'anatomia
umana, astrazione di persona nell'astrazione di città. Vi sono le lastre
di piombo che riproducono le 450 pagine della New Edinburgh Encyclopedia del
1822, diretta referenza all'informazione e alla sua relazione all'energia, e
congegni di varie epoche: macchina a vapore, generatore, radio, tutti trasformatori,
autori di un passaggio.
L'area centrale, il cuore, è gialla, è l'arte, e sta giusto tra
il fisico e il simbolico.
Il nero, o meglio il bianco e nero, il minimo di colore che serve per creare
una pagina scritta, è il luogo del linguaggio. Che è simbolo esso
stesso, rappresentazione. E dove più propriamente le immagini hanno una
loro vita separata dal mondo reale. E dove la realtà smette di essere
tale e diviene simbolo. Anche l'ultima area, rossa, appare chiusa e inaccessibile.
Anzi, è vuota. Colore del sangue e dell'emozione, il rosso rappresenta
la soggettività, non più lavoro sul simbolo ma sull'interpretazione
del simbolo. La soggettività è interpretazione intima, incomunicabile,
ed è per questo che la zona resta vuota.
Ma non è l'arte il veicolo di comunicazione della soggettività
più intima.
Mullican sceglie una costruzione visuale impersonale, l'impiego della tecnologia,
il silenzio delle materie sintetiche, i colori di un immobile artificio. Tutto
il suo sistema, un congegno mentale e fisico perfetto che funziona rigoroso
sia nella precisione del dettaglio che nella totalità del progetto, è
legato a un filo sottile e resistentissimo, a un'ossessione pura e forte, che
trasforma l'universo tecnologico in anima perversa. La sua ossessione non è
solo quella di creare un'immagine, ma di entrare in essa. Un vivente dentro
l'immagine, dentro il simbolo, dentro la rappresentazione stessa. La stessa
spinta che lo ha portato negli anni Settanta a esperimentare l'ipnosi, lo porta
oggi a usare la macchina, ad analizzare come la macchina imita la mente.
Il Magasin di Grenoble offre agli artisti lo spazio fisico per realizzare il
loro sogno, e nella personale dedicata a Mullican tutta la sua ossessione prende
forma e tutto il sistema si ricongiunge come un cerchio perfetto. Non per questo
il sistema è conchiuso: il cerchio è predisposto ad allargare
il suo diametro, a estendere la sua complessità in orizzontale, a rafforzare
perversamente la rappresentazione dello stesso ordine.
Stesso ordine, stessi simboli, stessa dinamica mentale sono infatti in questa
mostra nella grande architettura in gesso, nella ricostruzione della città
in cemento, nelle bandiere che ripetono i simboli e le dimensioni, nella sala
interamente ricoperta di frottages, dove tutto compare, ogni linguaggio,
ogni sistema di segni, della Storia, delle Arti, della comunicazione odierna,
dell'artista stesso, e in una serie di «light boxes» dove compare,
finalmente «costruita» e non più lasciata a livello di pianta,
la sua città, ovvero la città come esce dal computer.
Non è affatto la città ideale come la filosofia umanistica aveva
tentato di creare, non è spazio sociale e per questo è inabitata.
E immagine, è simulazione. E un paesaggio che esiste solo come segno,
come linguaggio: pietre, acqua, montagne, case esistono solo nel sistema del
Data Base.
Ecco la purezza della sua ossessione: tutto il suo lavoro parla e realizza la
simulazione, l'imitazione. Mimèsis, dunque arte.
Grazia Quaroni