Xavier Veilhan

 

"Minimalista postromantico"
Il sole 24 ore, Milan, 10 décembre 2000, p.40

Xavier Veilhan al Magasin: trentasettenne, già decisamente affermato, Veilhan, della generazione di artisti emersa in Francia all'inizio degli anni Novanta, ha potuto disporre di tutti i 2000 mq del Magasin per una mostra personale in cui opere realizzate in periodi diversi convivono in modo inedito dando luogo a ludici percorsi di senso in cui lo spettatore è continuamente sollecitato a livello intellettuale e sensoriale. La variegata attività dell'artista è caratterizzata da un inconfondibile French style, una leggerezza con qualche traccia di minimalismo. Pure l'intento è serio: liberare Parte dal romanticismo. Veilhan rivisita disinvoltamente i generi più diversi, dalla pittura di storia alla manipolazione digitale, alla scultura, all'installazione.
Al Magasin ci si trova a camminare immersi nella penombra di un grande bosco, La Forêt, tra tronchi alti una quindicina di metri, stilizzati ma imponenti, il cui disordine naturale ostacola la sguardo. Il suolo, morbido e accidentato, ci obbliga a verificare, passo dopo passo, dove metteremo i piedi, trasformando il percorso in un'inaspettata avventura e allertando attenzione e immaginazione. Il silenzio è stupefacente, il rumore dei passi risulta attutito dal feltro con cui tutto è stato realizzato.
Appena fuori dal bosco, eccoci di fronte a uno scooter la cui ruota posteriore, appoggiata su un tornio da ceramista, trasmette con gran rombo di motori il proprio movimento ai tornio. II risultato irrisorio di questo massiccio dispendio di energie consiste in una serie di vasetti sbilenchi, prodotti di una mano poco esperta. Analogo, paradossale contrasto si rileva, nell' "opera" successiva, tra un modesto gesto di partenza e i suoi effetti sproporzionati: l'apertura di una porta aziona una serie di gru che cominciano a girare su se stesse, dando il via a loro volta a una biglia in acciaio che comincia a scorrere fragorosamente su binari metallici disposti tutt' intorno a una sala: per finire in terra, dopo numerosi giri, con un tonfo sordo.
Più avanti, in ana grotta, sperimentiamo l'oscurità muovendoci a tentoni. Un attimo dopo eccoci catapultati di nuovo all'esterno, e dopo aver assistito allo spettacolo spiazzante di una Ford T del 1923 che si muove ossessivamente avanti e indietro su un binario che ricorda una catena di montaggio, ci troviamo a passare sotto un arco di trionfo formato da quattro scheletri di proporzioni monumentali intenti a una danza più giocosa che macabra, in linea con lo spirito ludico e grottesco di tutta la mostra. L'intero percorso è contrappuntato da immagini enigmatiche di cui Veilhan è abile creatore, immagini in cui gli elementi narrativi, ridotti al minimo, prevedono un impegno immaginativo da parte dello spettatore. Sono scene che rappresentano l'entusiasmo per la rivoluzione industriale e il progresso scientifico, la passione per l'esotico e le conquiste colioniali: strani drappelli di personaggi di difficile identificazione, aggbindati con piumati copricapo o con drappeggi minimali, l'immagine di un dirigibile in cui circola un'atmosfera alla Jules Verne, e una della Torre Eiffel, capostipite architettonico del futuro, e di Monsieur Gustave, il suo inventore, con la sua barba dal taglio "inizio secolo" e un grande cartiglio in mano. Ma la torre è smontata in due, difficile dire se sia in fase di costruzione o di demolizione.
Il Magasin occupa proprio uno degli edifici industriali costruiti nel 1900, in vetro, feno e cemento, dagli ateliers Gustave Eiffel per l'Esposizione Universelle di Parigi. Acquistato da due imprenditori, Bouchayer e Viallet, venne smontato (proprio come sembra essere accaduto alla Torre Eiffel nella fotografia di Veilhan), per essere trasferito a Grenoble. Difficile immaginare un contesto più congeniale all'opera dell' artista.

Gabi Scardi